È l’importanza della narrazione il tema al centro del Messaggio per la 54ª Giornata delle comunicazioni sociali. Infatti, osserva papa Francesco, per non smarrirsi l’uomo ha bisogno di respirare la verità di racconti buoni. Cioè «storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme». Occorre cioè ritornare a una narrazione umana, «che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri». Si tratta, come si capisce, di scegliere una strada controcorrente, perché, inutile negarlo, larga parte della comunicazione contemporanea è fatta di racconti artefatti per danneggiare l’avversario, di trabocchetti per farlo cadere, di falsità verosimili spacciate per verità. Occorre allora la forza per scegliere una via diversa. «In un’epoca in cui la falsificazione si rivela sempre più sofisticata, raggiungendo livelli esponenziali (il deepfake) – denuncia il Papa –, abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano». E il segreto per riuscirci, per non perdersi d’animo, sta nel guardare a Dio, il Narratore per eccellenza. Infatti «quando facciamo memoria dell’amore che ci ha creati e salvati, quando immettiamo amore nelle nostre storie quotidiane, quando tessiamo di misericordia le trame dei nostri giorni, allora voltiamo pagina. Non rimaniamo più annodati ai rimpianti e alle tristezze, legati a una memoria malata che ci imprigiona il cuore ma, aprendoci agli altri, ci apriamo alla visione stessa del Narratore». Ecco allora che anche quando raccontiamo il male, possiamo «imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio». E ci consola sapere che, come insegna la sapienza dei giorni, «mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno esistenza breve, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita». (da Avvenire)