Cives – Laboratorio di formazione al bene comune, ha organizzato una videoconferenza, nell’ambito del ciclo di iniziative Cives in dialogo, sul tema: “Le conseguenze della pandemia su povertà e disuguaglianze. L’impegno del Terzo Settore”. I lavori sono stati introdotti da Ettore Rossi, coordinatore di CIVES a cui sono seguiti gli interventi di Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istat; Filiberto Parente, presidente regionale delle Acli della Campania; Edoardo Patriarca, presidente del Comitato verso la Fondazione con i poveri; Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà; Claudia Fiaschi, portavoce del Forum nazionale del Terzo Settore.
“La pandemia oltre ad aver prodotto i suoi effetti sul piano sanitario – ha introdotto Ettore Rossi – conserva tutti gli altri tipi di effetti sul piano socio-economico, che rischiano di colpire soprattutto le persone più deboli. Queste conseguenze mettono in difficoltà anche i giovani, pensiamo a quelli che stavano per entrare nel mondo del lavoro o quelli che rischiano di perdere opportunità lavorative a termine o precarie.
Vogliamo capire come il virus sta incidendo rispetto alle diseguaglianze: già prima del lockdown l’Italia era un paese diseguale ma ora rischia di divaricare ulteriormente la polarizzazione tra chi sta bene e chi sta male. Rispetto a questa crisi possono esserci due reazioni: o quella di un radicalismo politico oppure quella che alimenta uno spirito di coesione e il terzo settore deve ulteriormente esercitare questa capacità”.
Linda Laura Sabbadini, intervenendo in seguito, ha detto: “Dobbiamo riflettere su come siamo arrivati al Covid in termini di diseguaglianze e povertà e di come il Covid, in qualche modo, ha sovrapposto diseguaglianze a diseguaglianze. La situazione di partenza vedeva alle nostre spalle una crisi molto dura e molto lunga che è partita nel 2007, durante la quale non è cresciuta subito la povertà, ma ha avuto un balzo negli anni successivi. Altro dato rilevante è legato al mercato del lavoro che ha visto una crescita delle diseguaglianze al suo interno: segmenti di popolazione hanno recuperato il lavoro che avevano perso e segmenti che non l’avevano recuperato e che hanno subito un ulteriore colpo dal Covid. Altro elemento ancora da tenere presente è quello legato al Mezzogiorno poiché la forbice tra nord e sud si è ulteriormente ampliata. Questa è la situazione di partenza a cui si è sommato l’epidemia che, oltre al problema sanitario, ha aggravato la situazione sociale ed economica in maniera non indifferente. Basti pensare che nell’arco di due mesi, marzo ed aprile, abbiamo avuto un crollo dell’occupazione di 400 mila persone. E questo crollo non si è concentrato soltanto su quei segmenti che già stavano male ma, anzi, ha interessato altri settori, a partire da quello dei servizi e penso al settore della ristorazione, del turismo o dell’accoglienza.
Le diseguaglianze si sono acuite anche rispetto ad altri soggetti, penso a quello dei bambini e della didattica: se in una casa non c’è un computer è stato impossibile seguire lezioni scolastiche online.
Su questo piano scontiamo un forte ritardo, sia come infrastruttura che come competenza che spesso non va oltre quelle essenziali.
La reazione della popolazione rispetto a questo è stata incredibile – ha aggiunto Sabbadini – c’è stato un senso civico molto accentuato, un rispetto delle regole come mai successo prima e poi c’è stata una tenuta sociale significativa che ha fatto in modo di rifugiarsi nella famiglia percepita come elemento di serenità.
La situazione dal punto di vista sociale ed economico sarà durissima, però proprio questo tesoretto di relazioni va valorizzato e rappresenta una grande risorsa su cui investire di più per mobilitare le risorse migliori del paese. È il momento in cui bisogna mobilitarsi: c’è stato tanto senso civico ma bisogna fare in modo di tradurlo in un impegno più continuo delle persone per evitare di uscire dalla crisi con ferite molto profonde”.
“E’ un periodo storico in cui abbiamo potuto sperimentare – ha affermato Filiberto Parente – diverse diseguaglianze: penso all’Italia che si allontana dall’Europa oppure al crescente divario tra nord e sud del nostro paese. La società civile organizzata e il Terzo Settore hanno voluto creare quelle relazioni di prossimità che vanno a valorizzare il capitale sociale umano per mezzo di tanti volontari, spesso giovani. In Campania c’è stato un elemento importante di condivisione anche per mezzo di una task Force regionale di cui il Forum del Terzo Settore fa parte e in cui ha fatto proposte di concretezza”.
“Questa pandemia – ha aggiunto Parente – ha rivoltato i crismi dello sviluppo economico e sociale dei nostri territori, in cui è importante fare una distinzione tra zone interne e zone costiere rispetto alle attività da porre in essere. Come Terzo Settore siamo riusciti a bilanciare un po’ la differenziazione e le distanze, che in queste zone si sentivano molto, ma la difficoltà è quella di creare una cultura che metta al centro la persone e la loro umanità, tramite un coordinamento generale che garantisca innanzitutto maggiore giustizia sociale”.
“L’appello che faccio – ha detto Parente in conclusione – è che il terzo settore riesca a metter in agenda gli obiettivi dell’agenda 2030 dando centralità alle aree interne e al Mezzogiorno d’Italia, puntando sulle potenzialità della rete e stipulando un patto di comunità”.
Roberto Rossini è intervenuto successivamente: “Bisogna distinguere l’influenza delle diseguaglianze esistenti prima del Covid da quelle post Covid. Si è detto quasi sempre che il virus non fa differenze, questo è vero ma non del tutto perché chi parte da condizioni più svantaggiate è comunque più a rischio. Esiste una letteratura che ci dice che di fronte a guerre, epidemie e simili c’è una sorta di abbassamento delle diseguaglianze perché queste situazioni aumentando il numero dei morti, creano, una volta terminate, nuove opportunità. Purtroppo, però, non è il nostro caso perché il numero di morti è stato elevato, ma non tale da richiedere nuova la forza lavoro, anzi, al contrario, ci troviamo di fronte ad una situazione di aumento delle diseguaglianze perché il virus ha cambiato il sistema di approccio economico e quindi il mondo del lavoro. Coloro che hanno la possibilità di reinventarsi sono favoriti rispetto a quelli che non hanno capitali e possibilità. Questo riguarda sia le piccole imprese che direttamente i lavoratori.
È chiaro che il Covid ha peggiorato alcune situazioni: una ricerca della Banca d’Italia parlava di 200 mila famiglie in più nella soglia di povertà solo nei due mesi di marzo e aprile.
Va fatto un lavoro duplice: riuscire a lavorare sugli ammortizzatori sociali consentendo a tutti di avere qualche forma di tutela e protezione che per l’Italia è un fatto non facilissimo da ottenere. Questo perché il mercato del lavoro è molto sfrangiato con situazioni a tratti incredibili con categorie molto difficili da tutelare penso agli intermittenti, agli stagionali, senza contare tutti coloro che avevano un lavoro in nero. Bisogna provare a tutelare il maggior numero possibile di persone sia con gli ammortizzatori sociali che con il rafforzamento del reddito di cittadinanza. Il reddito di emergenza è positivo in tal senso ma rappresenta uno strumento che va ampliato con programmi di politica attiva che prende atta di un cambiamento della qualità della povertà: basti pensare al fatto che qualcuno il lavoro l’ha perso ma altri sono entrati in una dinamica in cui il lavoro che svolgevano, di fatto, non esiste più.
L’altro tema riguarda la creazione di competenze attraverso la formazione continua per i lavoratori, perché l’economia sta cambiando e con essa il lavoro. Dobbiamo creare competenze che di fronte al nuovo che avanza consegnino ai lavoratori l’opportunità di entrare in un mondo del lavoro che avrà determinate caratteristiche. Su questo dobbiamo spenderci molto per una solida infrastruttura della conoscenza in cui non basta la scuola che, peraltro, è stata trattata come la cenerentola del nostro sistema.
Questi elementi qui vanno, infine, inseriti in una solida infrastruttura di welfare locale e di comunità: noi non possiamo pensare che i bonus e simili bastino. Non bastano affatto se non sviluppiamo una rete di welfare locale, pubblico – privata, concentrandoci sul capitale umano”.
“L’emergenza ci consegna sostanzialmente alcuni obiettivi inderogabili – ha detto Claudia Fiaschi – che sono diventati chiari per tutti e prioritari rispetto ad altri.
Le diseguaglianze di cui abbiamo parlato fino ad ora, portano a dire che è indispensabile ripensare il modello di welfare come quel patto sociale, che tiene inseme i cittadini in termini di coesione sociale, facendo una riflessione non soltanto sugli oggetti di tutela e di presidio che mettiamo alla base del nostro patto sociale ma anche sulla questione che riguarda il tipo di modello di infrastruttura con cui garantiamo quel sistema di diritti. Questo tira in causa un aspetto: in questa emergenza se avessimo avuto la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sarebbe stato molto più facile prendere una serie di decisioni che, in assenza di questo quadro regolamentare che riguarda il tema di quali sono i diritti esigibili anche in campo sociale, ha di fatto costretto gli attori istituzionali, ma anche gli enti del terzo settore, a negoziare i termini stessi dei diritti esigibili”.
“Il gap nelle diseguaglianze economiche crescerà – ha aggiunto Fiaschi – e l’Italia non ha investito per tempo nelle nuove economie come quelle digitali. Credo che per la ripartenza effettiva dobbiamo avere una capacità di investire su quello che è l’infrastruttura naturale che il paese ha e che è la grande risposta civica sia dei singoli che del sistema organizzato. Dobbiamo cogliere l’occasione di questo post emergenza per valorizzare il ruolo del terzo settore sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista economico, ma anche occupazionale e perfino costituzionale. Dobbiamo dirci che questo è un modo per far funzionare la nostra società civile”
“Il Terzo settore – ha concluso – ha rappresentato un elemento di fiducia nelle proprie comunità, un pezzo di resilienza delle comunità del nostro paese. Investire in economia sociale vuole dire anche investire nelle nuove generazioni dando un’impronta e uno slancio ad un metodo che può esprimere la propria voglia di sviluppo e di trasformazione. Questo vale per tutte quelle categoria di soggetti deboli presenti nel mondo del lavoro che attraverso questo modello possono diventare proattive in una comunità
Valorizza il ruolo sociale ed economico del terzo settore può rappresentare per l’Italia una strada per prendere le difficoltà del passato e ridare slancio alle nuove forme del terzo settore del futuro”.
Edoardo Patriarca è intervenuto in conclusione: “Credo sia urgente, alla luce di quello che è avvenuto durante la pandemia, prevedere alcuni provvedimenti volti a rafforzare, ad esempio, il reddito di cittadinanza che ha funzionato in parte e necessita di aggiustamenti. Altro punto importante è il servizio civile che deve essere rafforzato per permettere ai nostri giovani di fare cose utili alle nostre comunità.
In questo lockdown ho riscoperto la dimensione della comunità locale, grazie a questo elemento abbiamo retto: i sindaci sono stati dei riferimenti ma bisogna investire tanto nelle comunità locali sotto molti punti di vista. Nelle municipalità possiamo trovare un futuro per il nostro paese.
Abbiamo bisogno di accompagnare un processo nuovo anche culturalmente che consenta al nostro mondo di sentirsi importante per poter essere davvero decisivo. Senza questa realtà l’Italia non va avanti, dobbiamo dunque spingere affinché il Terzo Settore sia strutturalmente parte dei processi decisionali. Il Terzo Settore va sostenuto anche culturalmente affinché il singolo volontario sappia che quello che sta facendo è importantissimo”.
Patriarca ha anche accennato alla prossima costituzione della Fondazione con i poveri che nascerà a Pietrelcina con l’obiettivo di valorizzare il territorio in un’ottica di comunità e di impegno.