Una proposta teologico-pastorale per le aree interne

La sinfonia dei ministeri battesimali nella Chiesa

Relazione di mons. Franco Giulio Brambilla

Giunto alla quarta edizione, questo Convegno si propone di ripensare la forma ecclesiae nelle aree interne del Paese, focalizzando la sua attenzione sulla sinfonia dei ministeri battesimali e laicali nel quadro dei ministeri della Chiesa. Due precisazioni sono necessarie.

La prima: il discorso sul rinnovo urgente della forma ecclesiae nella pastorale italiana, con particolare attenzione alle zone interne, deve evitare di pensarsi con una prospettiva ecclesiocentrica e meno ancora come un’operazione di ingegneria ecclesiastica, per adattarsi ai due fenomeni più macroscopici che rendono particolarmente critica la presenza della Chiesa sul territorio delle aree più interne: la drammatica diminuzione del clero, il diffuso spopolamento delle zone isolate e lontane dai centri più grandi. Il cambiamento della figura di Chiesa s’impone, a diverso titolo, per la presenza della Chiesa su tutto il territorio del paese, ma l’attuale situazione chiede soprattutto un’attenzione particolare per le aree interne, perché proprio per esse si aggrava il duplice fenomeno poc’anzi rilevato, che sottopone il destino della fede a una condizione particolarmente depressiva e impoverente. È necessario quindi pensare la prospettiva pastorale e immaginare le soluzioni concrete in un’ottica di ecclesiogenesi: come nasce la chiesa dalle nuove possibilità di annuncio del Vangelo in questi territori? È l’annuncio del Vangelo, con le sue forme pratiche, che deve guidare la riforma della pratica di Chiesa. Vangelo e Chiesa s’appartengano, ma sono le nuove possibilità con cui si pensa l’annuncio (gestis verbisque) che plasmano le forme diverse con cui lo si accoglie in una comunità credente testimone nel mondo.

La seconda: bisogna che il carattere strategico del discorso sui ministeri battesimali nella pastorale italiana eviti anzitutto la retorica di “una Chiesa tutta ministeriale”. Tale espressione, che ha avuto una fortuna forse esagerata negli anni ’70-’90 del Novecento, di là della buona intenzione che l’animava di coinvolgere nuove corresponsabilità nel ministero ordinato, è semplicemente contradditoria e ha corso il rischio di clericalizzare le forme di servizio nella Chiesa appiattendole sul ministero ordinato, spostando semplicemente la dialettica clero-laici in quella di ministero ordinato-ministeri laicali. Se dunque la forma ecclesiae da ripensare urgentemente e coraggiosamente per tutte le parrocchie e le unità/comunità/collaborazioni pastorali del paese non deve perdere l’ancoraggio all’annuncio del Vangelo che genera la Chiesa, bisogna dire che la necessità di nuovi ministeri nasce semplicemente dall’immagine di “una Chiesa tutta battesimale” e “tutta testimoniale”. Per uscire dalla falsa dialettica clero-laici, che identifica frettolosamente i laici con i semplici battezzati, bisogna ricuperare l’orizzonte più ampio del popolo di Dio come la plebs adunata dei battezzati, che vivono la vita cristiana nel mondo come “culto spirituale gradito a Dio” (Rm 12,1-3). Tutti i ministeri della Chiesa e nella Chiesa, ma anche tutte le forme di servizio dei credenti nel mondo, sono orientati a far vivere a ciascun credente l’esperienza cristiana dentro i legami di una comunità fraterna. La Chiesa nasce dal Vangelo accolto e vissuto nel mondo e per il mondo (ecclesiogenesi), ma essa vive in modo sano nel mondo la vita umana plasmata dal Vangelo, sola se è radicata nel dono di Cristo sorgente della vita battesimale (pneumatogenesi). In una parola, ministero ordinato e ministeri laicali nascono dalla comune radice battesimale che è la vita nello Spirito. Il ministero ordinato e i ministeri laicali devono pensarsi, vivere e servire la crescita della vita cristiana del corpo ecclesiale. Per questo non si tratta solo e anzitutto di un’opera di riorganizzazione ecclesiastica, ma la posta in gioco può trasformare il modo di vivere la vita cristiana e la presenza della Chiesa nel mondo.

 

  1. IL QUADRO TEOLOGICO DEI MINISTERI BATTESIMALI

Nella linea del Concilio Vaticano II, Paolo VI nell’immediato postconcilio ha voluto rivedere la prassi relativa ai ministeri non ordinati nella Chiesa Latina – chiamati fino ad allora “ordini minori” – adattandola alle esigenze dei tempi. Tale adattamento, tuttavia, non deve essere interpretato come un superamento della dottrina precedente, ma come attuazione del dinamismo che caratterizza la natura della Chiesa, sempre chiamata con l’aiuto dello Spirito di Verità a rispondere alle sfide di ogni epoca, in obbedienza alla Rivelazione. La Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Ministeria quaedam (15 agosto 1972) configurava due uffici (compiti), quello del lettore e quello dell’accolito, il primo strettamente connesso al ministero della Parola, il secondo al ministero dell’altare, senza escludere che altri “uffici” potessero essere istituiti dalla Santa Sede su richiesta delle Conferenze Episcopali.

  1. La figura teologica dei ministeri “istituiti”

Tratteggio brevemente in tre passi il quadro teologico dei ministeri battesimali “istituiti”, nella sinfonia della dimensione ministeriale della Chiesa:

1.1 Radice trinitaria di carismi e ministeri. Lo Spirito Santo, relazione d’amore tra il Padre e il Figlio, costruisce e innerva la comunione dell’intero popolo di Dio, suscitando in esso molteplici e diversi doni e carismi (cfr. Evangelii gaudium, n. 117). Mediante i sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’eucaristia, i membri del corpo di Cristo ricevono dallo Spirito del Risorto, in varia misura e con diversità di espressioni, quei doni che permettono loro di dare il necessario contributo all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo ad ogni creatura.

 L’Apostolo Paolo distingue a questo proposito tra doni di grazia-carismi (“charismata”) e servizi (“diakoniai” – “ministeria” [cfr. Rm 12, 4 ss e 1Cor 12, 12ss]). Secondo la tradizione della Chiesa vengono chiamati ministeri le diverse forme che i carismi assumono quando sono a) pubblicamente riconosciuti e sono b) messi a disposizione della comunità e della c) sua missione in forma stabile.

1.2 Distinzione e relazione fra ministeri “ordinati”, ministeri “istituiti” e… ministeri di fatto. In alcuni casi il ministero ha la sua origine in uno specifico sacramento, l’ordine sacro: si tratta dei ministeri “ordinati”, del vescovo, del presbitero, del diacono. In altri casi il ministero è affidato, con un atto liturgico del vescovo, a una persona che ha ricevuto il battesimo e la confermazione e nella quale vengono riconosciuti specifici carismi, dopo un adeguato cammino di preparazione: si parla allora di ministeri “istituiti”. Molti altri servizi ecclesiali o uffici vengono esercitati di fatto da tanti membri della comunità, per il bene della Chiesa, spesso per un lungo periodo e con grande efficacia, senza che sia previsto un rito particolare per il conferimento dell’incarico.

Nel corso della storia, con il mutare delle situazioni ecclesiali, sociali, culturali, l’esercizio dei ministeri nella Chiesa cattolica ha assunto forme diverse, rimanendo intatta la distinzione, non solo di grado, ma di essenza, fra i ministeri “istituiti” (o “laicali”) e i ministeri “ordinati”. I primi sono espressioni particolari della condizione sacerdotale e regale propria di ogni battezzato (cf. 1Pt 2, 9); i secondi sono propri di alcuni fra i membri del popolo di Dio che in quanto vescovi e presbiteri «ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo» o in quanto diaconi «vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità» (Benedetto XVI, Omnium in mentem, 26 ottobre 2009). Per indicare tale distinzione si usano anche espressioni come sacerdozio battesimale e sacerdozio ordinato (o ministeriale).

La costituzione dogmatica Lumen gentium del concilio Vaticano II, ribadisce che essi «sono ordinati l’uno all’altro; l’uno e l’altro, infatti, ciascuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (Lumen gentium, n. 10). La vita ecclesiale si nutre di tale reciproco riferimento ed è alimentata dalla feconda tensione di questi due poli del sacerdozio, ministeriale e battesimale, che pur nella distinzione si radicano nell’unico sacerdozio di Cristo.

1.3 L’urgenza del tempo presente. Una loro migliore configurazione e un più preciso riferimento alla responsabilità che nasce, per ogni cristiano, dal battesimo e dalla confermazione, potrà aiutare la Chiesa a riscoprire il senso della comunione che la caratterizza e ad avviare un rinnovato impegno nella catechesi e nella celebrazione della fede (cfr. Evangelii gaudium, n. 102). Ed è proprio in questa riscoperta che può trovare una migliore traduzione la feconda sinergia che nasce dalla reciproca ordinazione di sacerdozio ordinato e sacerdozio battesimale. Tale reciprocità, dal servizio al sacramento dell’altare, è chiamata a rifluire, nella distinzione dei compiti, in quel servizio a “fare di Cristo il cuore del mondo” che è peculiare missione di tutta la Chiesa.

Proprio questo unico, benché distinto, servizio a favore del mondo, allarga gli orizzonti della missione ecclesiale, impedendole di rinchiudersi in sterili logiche rivolte soprattutto a rivendicare spazi di potere e aiutandole a sperimentarsi come comunità spirituale che «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» (Gaudium et spes, n. 40). In questa dinamica si può comprendere veramente il significato di “Chiesa in uscita”.

Questa riappropriazione della nostra identità profonda è necessaria per tutti, e soprattutto per quelli che non sono né sacerdoti né diaconi… Bisogna che i laici si riappropriano della loro identità davanti a Dio e davanti agli altri, dal punto di vista teologico. Ciò avviene mediante una presa di coscienza di quello che essi sono in forza del loro battesimo. Ecco la vera rivoluzione di cui la Chiesa ha bisogno, la riforma basilare. Ciò vale per tutti i cristiani: cattolici, protestanti e ortodossi… E va molto al di là degli sconvolgimenti, inevitabili, di cui tutti si riempiono la bocca. Che certi preti abbiano spostato la loro canonica in un camper, che si buttino col paracadute per raccogliere fondi, o che ne so ancora, va senz’altro benissimo… Queste iniziative sono valide, ma la cosa essenziale è che i battezzati riscoprano il potere enorme che Cristo conferisce loro in forza del battesimo (J. Mercier, Il Signor Parroco ha dato di matto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, p. 137).

 

  1. L’intervento di Papa Francesco e il suo duplice intento

 

Entro questo orizzonte, che è insieme storico-salvifico ed ecclesiale, vocazionale e ministeriale, vanno collocati i documenti relativi ai ministeri del lettore, dell’accolito e del catechista promulgati da papa Francesco.

Papa Francesco ha promulgato il motu Proprio Spiritus Domini (10 gennaio 2021), con il quale ha superato il vincolo di Ministeria quaedam che «riservava il lettorato e l’accolitato ai soli uomini» e ha disposto l’inclusione delle donne nei ministeri laicali/battesimali con la modifica del can. 230 § 2 del Codice di Diritto Canonico, accompagnando la decisione con la Lettera al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede circa l’accesso delle donne ai ministeri del lettorato e dell’accolitato. Papa Francesco ha inoltre promulgato il motu proprio Antiquum ministerium (10 maggio 2021), sull’istituzione del ministero del catechista per la Chiesa universale. La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha fatto seguire poi una Lettera ai Presidenti delle Conferenze dei vescovi sul Rito di istituzione dei catechisti (13 dicembre 2021), con in allegato il rito corrispondente.

I due motu proprio consentono di far maturare una visione più articolata della ministerialità e del servizio ecclesiale, rendendo sempre più evidente quell’indispensabile apporto della donna, di cui papa Francesco aveva già scritto, invitando di conseguenza ad «allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa» (Evangelii Gaudium, n. 103). Il fatto che i tre ministeri istituiti siano ora esercitati anche da donne rende ancor più evidente che la cura della Chiesa nei confronti dei suoi figli, soprattutto di quanti si trovano in condizioni di difficoltà, è compito condiviso da tutti i fedeli, uomini e donne.

Tra le possibilità indicate dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, la Conferenza episcopale italiana ha scelto di conferire il “ministero istituito” del/la catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi (cfr. n. 9) e a coloro che «in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio» nel catecumenato degli adulti (cfr. n. 10). Il catechista, secondo la decisione prudente del Vescovo e le scelte pastorali della Diocesi, può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con lettori e accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’eucaristia.

 

 

 

  1. PROPOSTE PASTORALI PER LA FORMA ECCLESIAE NELLE AREE INTERNE

 

Nella seconda parte del mio intervento tento di ripensare la presenza della Chiesa nelle aree interne, focalizzando l’attenzione su tre possibili forme di intervento. Per fare questo occorre tenere presente i passi sinora compiuti.

L’ampia e documentata relazione di mons. Mariano Crociata ha messo a fuoco i temi universali e le declinazioni singolari della questione pastorale nelle aree interne. Egli colloca il tema sullo sfondo delle grandi trasformazioni che stanno avvenendo tra la parrocchia tridentina e i nuovi tentativi di abitare il territorio con le unità/comunità/collaborazioni pastorali. Afferma che non bisogna pensare il tema in termini solo gestionali, ma suggerisce di governare il cambiamento che ripensa il rapporto della Chiesa con la vita quotidiana della gente, segnata dai due grandi fenomeni: la mobilità e la digitalizzazione. Per questo è importante ripensare la pastorale in termini “generativi”, sia sul versante delle azioni, identificando gli elementi essenziali per “generare alla vita cristiana ed edificare la chiesa”, sia sul versante dei soggetti, cambiando prospettiva per coinvolgere tutti i battezzati nella missione cristiana.

In questa ottica la successiva relazione dello scorso anno di mons. Roberto Repole ha disegnato un ampio e lungimirante affresco sul ministero ordinato che ha da essere ripensato radicalmente, nella sua funzione sacerdotale, evangelizzatrice e di governo, non tanto e non solo per far spazio ai nuovi ministeri, ma perché la nascita delle nuove figure battesimali impone di ripensare la missione nell’ottica del popolo di Dio, con le antiche e le nuove ministerialità in una visione sinfonica, mettendo in campo ciascuna col suo compito e tutte secondo il senso dei singoli ministeri (ordinati e battesimali) che la tradizione ci consegna e il tempo presente richiede. Il senso profondo del ripensamento dei ministeri non è solo di provvedere alla drammatica diminuzione del clero, ma al superamento della famosa partizione duo sunt genera christianorum che risale all’inizio del secondo millennio con la riforma gregoriana. Per entrare nella grazia del terzo millennio!

L’immaginazione di nuovi modelli e tentativi deve avere chiara la coscienza della direzione nella quale s’intende andare: occorre immaginare la missione della chiesa come l’opera sinfonica di molti ministeri e come la presenza variegata di tante figure nella vita civile, nel lavoro, nell’economia, nella cultura, nel volontariato, nella carità e nella politica. Chiamiamo i primi “ministeri” e i secondi “servizi”. Forse diventa sempre più chiaro anche che l’uso analogico del termine “parrocchia” oggi è divenuto problematico se applicato a situazioni tanto diverse: tra le parrocchie di città, quelle del forese e quelle delle valli o zone isolate, in tanta similitudine maior est dissimilitudo! Propongo tre possibilità creative che tengano conto della particolarità delle aree interne.

  1. L’équipe pastorale. Immaginando il futuro, si può intravedere senza troppo difficoltà che queste aree interne richiedano per il domani un ripensamento coraggioso della “forma parrocchia”. Piccole parrocchie di valle oppure enclave di zone difficilmente accessibili che non hanno più lungo l’anno la possibilità di vivere una vita liturgica continua, con la celebrazione domenicale dell’eucaristia, la regolarità dell’annuncio, le forme devozionali, le feste principali dell’anno, l’iniziazione cristiana, i sacramenti del perdono e della consolazione, persino le esequie funebri, dovranno essere ripensate come un sistema a rete di “piccole comunità” (Chiese sussidiarie, Oratori, Small Communities, Rosenkranz-Kapellen). Occorrerà decidere quali gesti della vita cristiana mantenere e promuovere e quali tempi certi dedicare per una presenza che non faccia sentire la gente sola e renda possibile l’esperienza della pratica cristiana presso le case. Tali “piccole comunità” potranno entrare in rete attorno a uno o più centri con un numero più consistente di abitanti, che possano svolgere la funzione di “Comunità decanale” (di valle, di zona, di area) e che potranno essere il luogo dell’abitazione del presbitero. Egli diventa così l’animatore della vita pastorale della rete: con la sua azione sacramentale realizza il legame con la Chiesa diocesana e la radice apostolica; con la sua azione evangelizzatrice incrementa il dinamismo della preghiera, della formazione e della carità nelle piccole comunità.

Il criterio della distinzione tra “piccole comunità” (“Chiese sussidiarie”) e “Comunità Decanale” (o “Chiesa di Unità pastorale”) va ricercato proprio nelle azioni pastorali che si possono realizzare nell’uno e nell’altro spazio. Di norma la “Comunità Decanale” (o “Chiesa di Unità pastorale”) avrà i quattro pilastri della vita cristiana ed ecclesiale: la celebrazione dell’Eucaristia domenicale e le feste dell’anno, la vita liturgica dei giorni feriali (messa, liturgia delle ore, matrimoni, funerali, lectio divina, adorazione, ecc.); l’iniziazione cristiana per ragazzi, adolescenti e giovani, i percorsi di preparazione al matrimonio cristiano, la catechesi per adulti e anziani; il luogo di incontro dei nuovi ministeri. Invece nelle “piccole comunità” si dovranno collocare i gesti della pietà popolare (rosario, via crucis, adorazione, preghiera delle ore, in alcuni casi il funerale), della lectio o preghiera liturgica guidata dal lettore o dal diacono, della comunione portata dai ministri straordinari della comunione con la regia di un accolito istituito, da piccoli gruppi del Vangelo e animatori di iniziative culturali che possano essere sapientemente distribuite nei vari nodi della rete che sono vocati per queste azioni pastorali per storia, luogo o persone.

L’équipe pastorale della “Comunità Decanale” o dell’“Unità pastorale” raccoglie tutte le figure ministeriali ordinate (preti e diaconi), istituite (lettore, accoliti, catechisti) e di fatto (ministri straordinari della comunione, ministri della consolazione, servizi educativi, missionari, Caritas, di volontariato, ecc.) perché con il popolo di Dio edifichino la Chiesa come segno vivo del Vangelo in un luogo e in tempo. La sfida è che “ministeri” ad intra (ordinati, istituiti, di fatto) e “servizi” ad extra (figure di presenza nel mondo) si pensino come partecipi della missione della Chiesa nella diversità dei compiti e nell’unità degli intenti e delle pratiche. È possibile sognare che presso la “Comunità Decanale” si realizzi lo spazio di convergenza e di confronto di tutti i “ministeri” e “servizi”, sotto la regia del parroco (con eventuali altri preti), per la formazione delle persone, la programmazione delle azioni pastorali, mentre siano presenti nelle diverse comunità di base l’abitazione dei diaconi e dei ministeri istituiti a presidio e guida delle “piccole comunità”? Ad esempio, la scelta della CEI di riservare i ministeri “istituiti” del lettore, accolito e catechista (insieme ai diaconi) a compiti di coordinamento dei rispettivi ministeri o di presidio-guida di piccole comunità liturgiche non va nella linea del modello a rete sopra evocato? Decisivo, però, è il fatto dell’ispirazione comune e della convergenza degli intenti e dell’agire: l’équipe pastorale funziona se è come una orchestra che suona un’unica sinfonia. La distinzione dei reparti non deve andare a detrimento dell’armonia della musica, la necessità dell’unica direzione non può sostituire la varietà delle figure che fanno della Chiesa un’unità non solo nella diversità, ma attraverso la diversità. La Chiesa è sinfonica! Proviamo a fare uno sforzo d’immaginazione: se dal centro della valle o di un’area interna più importante per storia, posizione geografica o numero di abitanti, si diparte una serie di rami che formano una rete, mentre i ministeri (diaconali, istituiti e di fatto) possono essere trovati e inviati in base all’abitazione o alla possibilità di presenza nelle varie Chiese sussidiarie della zona, non si creerebbe già nell’origine e nella destinazione dei ministeri una pastorale integrata che favorisce l’unità d’ispirazione e la capillarità di presenza? Il duplice e circolare movimento dal centro alla periferia e viceversa potrebbe diventare virtuoso per dire e donare il Vangelo (in gesti e parole) alle persone, alle famiglie, alla vita civile, e reciprocamente per rivestire di passione, carne e storia la forza del Vangelo.

Nella logica dei ministeri, un caso singolare è costituito, dal Consiglio affari economici parrocchiale che nelle aree interne può essere croce e delizia, teso tra la difficile croce di strutture materiali ed edifici ecclesiali da mantenere, spesso soggetti a una forte pressione campanilistica (le chiese e i soldi sono nostri…) e la povera delizia di dover razionalizzare le strutture, scegliere quelle da alienare o da tenere a servizio di tutti, non perdere l’ancoraggio ai territori, educare a una economia di comunione che diventa anche comunione economica. Tutto questo imporrà prima o poi di praticare, accanto all’unità dell’équipe pastorale, anche la fattiva convergenze di servizi alla persona (dei ministri), alle chiese e alla strutture comunitarie, con particolare attenzione ai giovani e ai poveri, ma anche con la delega coraggiosa degli aspetti amministrativi del parroco (che ha la rappresentanza legale), distinguendo il munus regendi dai compiti amministrativi di istruzione, decisione ed esecuzione degli interventi legali, assicurativi, gestionali, culturali (beni) per la cura del patrimonio ecclesiastico che deve passare dalla logica del “tutti devono avere tutto” a un coraggioso modello integrato per risparmiare risorse e qualificare gli interventi. Vi sono diocesi che hanno da tempo confederato i servizi alla persona e alle comunità in una logica di integrazione, risparmio e qualificazione, con processi di efficientamento e di aggiornamento del patrimonio ecclesiastico. La retorica del “piccolo è bello” si paga cona la dispersione delle energie e la perdita della libertà nel ministero: il parroco deve fare il manager, perché forse non gli dispiace sentirsi imprenditore, ma corre il rischio di dissipare il tempo della mente e la passione del cuore per interpretare il ministero in modo evangelico, talvolta lamentandosi di essere travolto dai compiti burocratici oppure lasciando andare tutto alla deriva, per un falso spiritualismo angelicato. Una Chiesa che non sia solo di collaboratori, ma di corresponsabili ha qui il suo banco di prova: nelle aree interne tutto ciò non è solo una possibilità creativa, ma un’urgenza impellente, pena il pericolo di burn out del ministro e di disaffezione della gente.

  1. Il servizio della cura. Uno dei problemi più gravi ed incidenti sulle aree interne è lo spopolamento dei territori e la mobilità (lavorativa e non solo) delle persone. Inoltre, tali aree del paese sono anche zone a “geometria variabile”, da cui si fugge per lavorare, viaggiare, divertirsi, ma a cui si ritorna per riposare, ristorarsi e ritrovare le radici. Dal punto di vista pastorale questo fenomeno della mobilità e della presenza a fisarmonica (ad esempio in val Vigezzo si passa dai circa seimila residenti fiscali alle sessantamila presenze turistiche nel picco del periodo estivo, digradando per numeri intermedi in alcuni momenti topici dell’anno) esige una creatività pastorale che capitalizzi le opportunità e rimedi alle passività di quei momenti dell’anno con pochissime presenze. Il ripensamento pastorale delle aree interne avrebbe qui un capitolo importante per rivedere l’agire ecclesiale, che non può essere impostato tanto sul calendario che prevale nelle grandi città e nei borghi di media o alta densità abitativa, sostanzialmente condizionato dal registro del lavoro e della scuola, quanto invece ripensato sul filo della popolazione prevalentemente anziana, che rimane sola a casa di giorno e che anche per lunghi periodi vede circolare poca gente nei piccoli paesini di valle e di montagna, spesso in difficoltà per servizi alimentari, casalinghi, sanitari, sociali e amministrativi. Perdere il parroco per alcune zone significa il venir meno di ogni presidio pubblico e assistenziale: ho visto già molti anni fa piangere per la partenza del parroco come per la perdita di un familiare carissimo e di una figura di riferimento insostituibile. Bisogna qui onorare i molti parroci che sono stati sentinelle delle comunità e dei paesi in tempore belli et pacis.

Volgendo però lo sguardo al futuro e rimanendo fedeli al nostro tema dei ministeri da promuovere e coordinare, forse proprio qui emerge che il nostro immaginario è ancora fortemente ancorato alla presenza del prete, quindi è in senso proprio clericale. Precisamente il vasto ambito dell’assistenza andrà configurando per le aree interne nei prossimi anni un “ministero della cura”, cioè un servizio per il quale la Chiesa può farsi carico, sia in prima persona, sia in stretta collaborazione con gli altri soggetti operanti nel volontariato e nei servizi socioassistenziali. Un “servizio della cura” che avrà molte sfaccettature soprattutto per lo spazio specifico dell’azione pastorale: si pensi al ministero del diacono che potrà fare da presidio di piccole comunità, animare gli interventi di carità, visitare le persone anziane e sole nelle case di riposo o nelle proprie abitazioni, coordinare l’assistenza delle famiglie, spesso in affanno a intervenire ogni giorno presso i genitori, sostenere momenti di incontro e di preghiera. È tipico dell’azione pastorale non limitarsi a un intervento socioassistenziale, ma nutrire e animare le persone anziane e malate con significati per vivere, iniziative per socializzare, interventi per strapparli all’inedia dell’abbandono. È facile intuire che presenze solo di buona volontà e interventi episodici non durano a lungo nel tempo e che solo l’orizzonte più ampio di una “comunità Decanale o Unità Pastorale, come quella che abbiamo sopra abbozzato, può immaginare di proporre e realizzare un “servizio della cura” competente ed efficace, coordinando i molti frammenti già presenti e stimolando le forze anche non di ispirazione cristiana a intervenire in modo coordinato ed incisivo.

Nelle aree interne questa sarà la cartina al tornasole di una presenza della Chiesa con una vera task force della carità, che deve essere spirituale e materiale insieme, perché è facile dare cose e risorse, meno lo è donare un tempo e una presenza che sia un pane sapido per vivere. Con un’attenzione: per questo compito non vi sono ministeri istituiti, ma la logica del “servizio della cura” raccomanda che esso deve essere agile, leggero, corale, contagioso, inclusivo. Nessuno può avanzare l’alibi che non ha tempo, voglia o possibilità per dedicare un po’ della propria vita alla cura degli altri, per stare un’ora ad accudire un anziano, per custodire un bambino, per fare i compiti con un ragazzo, per animare qualche adolescente. Il tessuto di umanità, di socialità della parrocchia di un tempo ha sempre beneficiato della rete di prossimità. Per quanto si parli male della civiltà parrocchiale nessuno può negare che questo è stato il suo fiore all’occhiello e le aree interne domandano su questo punto una ripresa creativa di questo filone pastorale. La domanda oggi sorge da un’impellente necessità, ma a un bisogno si può dare solo una risposta occasionale, oppure trasformarlo nell’opportunità per far rivere le aree interne con una trama di relazioni che sostiene il tessuto della prossimità.  Così che, come per molti luoghi della spiritualità, anche in queste valli e colline, o aree riposte, la gente potrà tornare a isole di pace, spazi dei buoni legami, luoghi non solo per sfuggire alla città tentacolare e al logorio della vita moderna, ma a ritrovare il cuore della convivenza umana.

  1. Il centro educativo. Un terzo ambito del lavoro integrato da proporre per le aree interne sarà la pastorale giovanile, con attenzione ai ragazzi, adolescenti e giovani. I piccoli numeri non devono scoraggiare, ma anzi stimolare a un intervento educativo coordinato, anche perché minori e giovani hanno in queste zone già un bacino di utenza molto più ampio della parrocchia almeno per la scuola e il divertimento. Essi poi sono molto più duttili di mente ed elastici nel costume e nel comportamento degli adulti, pronti agli spostamenti in base all’età e al mezzo di locomozione disponibile. Per questo dobbiamo pensare a un centro educativo, che può darsi sia più opportuno non coincida con la parrocchia più grande, l’importante che sia il più accessibile da tutte le piccole comunità della zona interna. In esso si dovranno collocare i percorsi di iniziazione cristiana, di animazione dei ragazzi (oratorio, centro sportivo, Grest) e di pastorale giovanile (adolescenti e giovani) che si snodano lungo l’anno pastorale. È evidente che nelle aree interne è già molto puntare sulle strutture e le risorse di un unico luogo pastorale per gli interventi educativi (preghiera, catechesi, animazione) che richiedono luoghi adatti, magari invece dislocando le iniziative (si pensi d’estate con la giornata lunga e il tempo bello) per non far sentire nessuno isolato ed escluso. Non è qui il caso di suggerire forme e contenuti dell’attività pastorale da progettare in questi centri educativi per esprime l’attenzione della Chiesa verso le nuove generazioni. Molte esperienze e molti contenuti sono già disponibili. Il rammarico è questo: quanto si è fatto nella pastorale giovanile del post-concilio è andato incontro a uno sperimentalismo che non ha accumulato sapienza. Si è fatto tanto e forse troppo, ma senza confrontare i temi, i contenuti e le esperienze, quasi operando con un caleidoscopio di iniziative che cambiavano continuamente, ma non facevano crescere i percorsi di crescita. Il difetto di fondo era quello di una pastorale giovanile più dell’animazione che della vocazione, poco capace di costruire personalità cristiane!

Precisamente in tale quadro il tema dei ministeri fa scoprire grandi opportunità per figure di presenza e per educatori di pastorale giovanile. Non è senza interesse notare che direttori di oratorio o di centri giovanili (uomini e donne), dove non è più possibile prevedere un prete giovane, siano stati finora impiegati per grandi parrocchie che avevano talvolta strutture faraoniche da animare e da presidiare e una tradizione oratoriana gloriosa. Due cose notevoli sono qui da osservare. La prima è che figure di educatori di giovani (direttori e animatori) per le aree interne possono essere pensati in sinergia con i docenti di religione, che magari non hanno cattedra piena e che quindi possono essere chiamati part time ad un compito educativo: oltre a rendere sostenibile per le Comunità Decanali o di Unità Pastorale la remunerazione dell’educatore, ciò offre la grande opportunità che le stesse figure conoscano e animino i ragazzi delle elementari e medie e gli adolescenti-giovani delle superiori. La seconda riguarda i tempi e il quadro lavorativo dei ministeri educativi. Bisogna dire che qui, oltre alla dinamica assolutamente necessaria del volontariato, per non trasformare queste figure in professorini e professionisti della pastorale (come  talvolta è avvenuto ad esempio in Germania), è importante che non siano in carico né direttamente alla parrocchia né alla diocesi, ma diventino membri inseriti in una cooperativa (diocesana) con uno statuto e con risorse proprie che possano configurare la libertà di tali ministeri, sia di fronte alla Comunità Decanale e alla Diocesi. Sullo sfondo sta, infatti, una questione di grande momento: tali figure educative potranno dare un contributo notevole se non resteranno legate univocamente a un parroco, a una Comunità Decanale, a un insegnamento, ma avranno l’elasticità di poter essere ripensate, ricollocate e a volte trasferite, quando è passato un tempo congruo di servizio o mutano le situazioni pastorali (ad esempio un ministro che è rimasto troppo tempo in un impegno, oppure si  sono create situazioni di incompatibilità ambientale). Lo stesso documento CEI sui ministeri prevede un ministero stabile nella sua istituzione, ma tempo determinato nel suo esercizio, che può essere rivisitato con l’ascolto del vissuto dei soggetti e le opportune verifiche pastorali. Del resto, anche i percorsi dei ministeri ordinati si snodano su stagioni della vita del prete e del diacono diverse per ambito di impegno e avvicendando le destinazioni.

 

Le tre esemplificazioni fatte in questa seconda parte della relazione sono evidentemente integrabili fra loro: la prima rappresenta il quadro più ampio nel quale inserire la seconda e la terza secondo un dosaggio che dipende dal discernimento dell’équipe pastorale che, con la presidenza del presbitero, cercherà di elaborare una proposta sintetica. È importante che il progetto di una o più équipe pastorali viciniori sia una sintesi di visione ideale e di proposta praticabile, perché non si sogni una visione sovradimensionata, né si riduca la proposta solamente a un calendario di iniziative. Tra ideale e reale la tensione deve essere feconda: questa è la legge interiore di ogni immaginazione pastorale! La questione delle aree interne potrà diventare istruttiva per uscire dalla tranquilla gestione delle parrocchie, il cui modello è stato pensato in maniera replicante dal monte al piano, dalle aree interne al mare, dai borghi del forese alle grandi città. La forma ecclesiae ha bisogno di un tempo nuovo di invenzione, abbandonando il modello delle parrocchie dove “tutte hanno tutto”, e tuttavia non perdendo il “sugo della storia”.

 

+ Franco Giulio Brambilla

 

 

 

 

Indicazioni bibliografiche

 

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